Ciancio alle bande o che dir si voglia, vi inserisco il testo qui sotto...si lo so è un po lungo però se avete la pazienza di leggerlo tutto, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensiate! Ciauz
"Il mio nome è Marko. Sono nato a Belgrado 27 anni fa e ho perso mia
madre quando avevo 11 anni, saltata in aria su una mina anti uomo, e mio padre pochi
mesi dopo, nella regione di Krajina, insieme ad altri mille serbi, trucidati
senza alcuna ragione. A 12 anni avevo perso entrambi i genitori e ho rischiato
più volte di morire di fame e freddo. Vivendo per strada si diventa uomini
troppo presto e io fui costretto a lottare contro tutti per sopravvivere. Erano
anni difficili quelli, il mio paese era continuamente in guerra contro i suoi
vicini e questo non faceva che peggiorare la mia situazione. Un popolo in
guerra è un popolo povero, non ci sono soldi, non c’è cibo, non c’è nulla che
un bambino possa fare per tentare di sopravvivere. È stato inevitabile che la
strada mi educasse a vivere di espedienti.
Ricordo ancora bene la prima cosa che ho rubato in vita mia: era una
mela. Non mangiavo da dieci giorni e lo
stomaco oramai nemmeno brontolava più per i morsi della fame, non aveva più la
forza di lamentarsi. Ero un cadavere ambulante, privo di forze, privo di
speranze, quando vidi una mela, una grossa e rossissima mela. Quel frutto era
scivolato via dalla busta di una signora ben vestita, che era inciampata e
caduta rovinosamente per terra. Mi bastò
allungare la mano per fermare quella sfera rossa, che lentamente stava
rotolando verso il selciato della strada. Ricordo che la nascosi velocemente
sotto la maglietta strappata che indossavo da mesi. La signora mi guardò per
qualche secondo, mentre freneticamente tentava di recuperare tutta la frutta
che aveva perso dalla busta; non si era accorta di nulla. Dentro di me sapevo
che la cosa giusta era restituirle la mela, ma fare la cosa giusta mi avrebbe
fatto morire. Aspettai 3 lunghissimi e interminabili minuti, poi la signora
scomparve dietro l’angolo e addentai quella mela. Quanto era buona non lo
dimenticherò mai, la mela più buona che abbia mai mangiato in vita mia.
Da quel giorno compresi che per sopravvivere avrei dovuto rubare,
iniziai con il cibo e continuai per qualche mese, poi cominciai con i soldi.
Ero piccolo, non avevo ancora ben chiaro cosa fosse il denaro, ma compresi
presto che, possedendo quei pezzi di carta, avrei potuto avere tutto ciò che
desideravo: un paio di scarpe e, perché no, un giubbino che mi tenesse caldo
durante l’inverno. Passarono gli anni, conobbi la prima cotta, poi il primo
amore e infine la prima puttana che mi sverginò. Ero diventato un uomo a 12
anni, ma solo a 17 avevo capito che cosa poteva realmente darti una donna.
Bevevo già da tre anni, soprattutto la mia adorata Brlja, la bevanda di noi poveri, l’unica cosa che
realmente riesce a tenerti caldo, oltre alla vagina di una donna.
Il mio nome è Marko e sono un
ultrà della Stella Rossa. Quando avevo 8 anni ero venuto in Italia, a Bari, per
vedere la finale di Coppa dei Campioni vinta contro l'Olympique
Marsiglia. Ricordo bene quel giorno, nonostante fossi ancora piccolo, provai
una gioia immensa e da allora decisi che non avrei mai abbandonato quella
squadra. Poi la mia vita cambiò radicalmente, i miei morirono a pochi mesi di distanza da quel giorno
e io mi ritrovai ad uccidere persone, per trovare soldi a sufficienza ed
acquistare il biglietto per entrare allo stadio. Infondo una promessa è una
promessa. Una delle poche cose che mi ha insegnato mio padre quando ero
piccolo, è la fedeltà verso il proprio paese, verso la propria squadra, ma
soprattutto ad onorare le promesse, a tutti i costi.
La situazione politica del mio paese sembrò calmarsi quando avevo
circa 14 anni, ma la condizione non migliorò così tanto per me. Continuavo a
mantenere il mio solito tenore di vita, l’unico possibile per un ragazzino
senza padre, madre e alcuna figura di riferimento. In questi anni sono
cresciuto molto, non rubo più alla gente, ora ho un lavoro fisso che mi
permette di avere un tetto sulla testa e di spassarmela quanto voglio, ho tanti
buoni amici con cui condivido l’amore per la Stella Rossa e un ottima
clientela. Lo spaccio di droga frutta bene, basta trovare le giuste dimensioni
e non dare fastidio alle persone sbagliate.
Nonostante questo periodo di pace però, un bel giorno, dei contadini
senza soldi e senza alcuna gloria hanno deciso che una parte del mio paese non
doveva essere più della mia gente. Un giorno si sono svegliati e hanno deciso
“unilateralmente” che il mio territorio, quello del mio paese, quello dei miei
antenati, non era più mio e hanno deciso di proclamare l’indipendenza, fottendo
a me e ai miei fratelli serbi la terra.
In pochi anni sono riusciti a buttare merda sul mio paese, sul presidente
del mio stato, chiamandolo addirittura “mostro” o “criminale”, semplicemente
perché ha tentato in tutti i modi di riappropriarsi di una cosa nostra, che ci
è stata indebitamente sottratta.
Odio profondamente quei contadini, li odio perché dal basso del loro
viscidume sono riusciti a portare via la terra ai miei fratelli serbi, li hanno
derubati e mandati via di casa senza una ragione. Quei contadini dovrebbero
pensare solo a lavorare la terra e incularsi qualche capra, invece di arrogarsi
qualche assurdo e inesistente diritto. Loro non hanno diritti, sono solo dei
contadini.
Io rivoglio quelle terre, rivoglio il Kosovo e qualcosa farò, la farò
insieme ai miei fratelli della Stella Rossa. La pensiamo tutti così, perché è
giusto. Quella è la nostra terra, quella è la nostra patria. La Serbia ha
bisogno dei suoi figli, l’hanno deturpata, ferita in diverse occasioni, ma la
nostra patria, la nostra nazione tornerà a vivere in gloria grazie ai suoi
figli, grazie a me.
Oggi dopo 19 anni sono di nuovo in Italia, in una città chiamata
Genova. Sono al seguito della mia nazionale di calcio, al seguito di 11
donnicciole che stanno infangando il nome della mia nazione. La settimana
scorsa hanno perso 3 a
1 in casa
contro l’Estonia, una vergogna inaudita e oggi la devono pagare.
Noi siamo i figli di Arkan, le sue tigri, i sostenitori della Stella
Rossa, gli ultimi discendenti della vera Serbia, noi la riporteremo in vita e
inizieremo dalla nazionale. Stasera abbiamo dato spettacolo in campo, abbiamo
fermato quello scempio di partita. I giocatori devono capire che il calcio non
è un gioco, il calcio è vita vera. Se loro perdono, perde tutta la Serbia,
l’onta della vergogna ricade su tutti noi, non solo sui loro nomi e per questo
devono pagarla. Devono avere paura quando scendono in campo, devono capire che
la vittoria è l’unico risultato che compete alla Serbia, alla mia gloriosa
Serbia. Ho speso 21mila dinari in fumogeni e petardi, abbiamo tagliato la rete
della gabbia e sfondato un vetro dello stadio, mentre tutto il mondo ci
guardava esterrefatti: siamo riusciti nel nostro scopo.
Ora sono qui, fuori lo stadio, la notte copre i colori del giorno e
davanti a me vedo un plotone di poliziotti, guardo nei loro occhi e non vedo
altro che terrore. Hanno paura di noi, ci guardano da lontano e non potrebbero
fare altro. Se tentano di avvicinarci diamo fuoco alla città! Io non ce l’ho
con loro, loro non mi hanno fatto nulla, ma se mi attaccano io risponderò per
le rime. È questo che fa un vero ultrà: non si piega davanti a nulla e io non
mi piegherò.
Stringo tra le mani una bomba carta, sono pronto ad accenderla e a
combattere… in nome della Serbia."
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