giovedì 9 maggio 2013

In ricordo di Peppeniell Impastato


Ricordare i morti, soprattutto i morti degli altri, è il primo passo per renderli immortali. Farli nostri, quei morti, significa trasformare quei nomi in macigni indistruttibili.
Caro Peppino io non ti conosco, non eri un parente, né un conoscente. anzi quando te ne sei andato, io in questo mondo, manco c'ero nato. ti ho conosciuto qualche anno fa, ma tu probabilmente non lo sai...insomma, sì, eri già ossa e polvere, più che pelle e pensieri, quando t'ho conosciuto...quando ho conosciuto il tuo nome, le tue parole, i tuoi pensieri, tu proprio non sapevi più parlare, non potevi più pensare e il tuo nome, più che essere pronunciato, poteva essere solo letto su un rettangolo di pietra bianca.
Io e te nun ce sapimm, peppì ma te voglie ben comm nu fratell e i tuoi cento passi sono anche i miei e lo saranno anche quando non saprò più camminare, non saprò più parlare o pensare e quando pure io, come e te, sarò più ossa e polvere che pelle e pensieri!

martedì 20 novembre 2012

Un viaggio al centro della vita (giornata mondiale dell'infanzia)

Oggi ho avuto la conferma! Ho avuto la conferma che tutto ciò in cui io credo è la realtà quotidiana, la realtà dell'umanità, ma è meglio che vi racconti cosa mi è successo oggi, così che possiate capire con facilità.
Erano le 12.30 circa. Ero entrato da poco nella stazione della cumana a Montesanto e stavo attendendo la partenza del vagone. Faceva caldo, parecchio, e per poter godere del refrigerante e fresco vento che fuoriusciva dalle grotte della stazione, mi ero sistemato poco fuori il treno.
Così, vicino alle porte di un vagone, avevo notato una signora sulla 30ina con un bambino piccolissimo dai capelli dorati! Lì per lì ho pensato ''beh è un bambino come tutti gli altri'' (anche perchè guardavo solo le sue spalle, essendo lui appoggiato con la testa sul petto della madre). Sentendo il fischio del capostazione, ero entrato nella vagone e mi ero appoggiato, come sempre, sulla porta opposta a quella che avevo usato per entrare! Il volume del lettore MP3 era alto e anche la temperatura, tanto che per il caldo i miei occhiali da sole si stavano appannando, quindi, costretto, li avevo tolti.
Come una saetta che squarcia il velo del cielo limpido, ero stato folgorato dal azzurro di quegli occhi spalancati, da quelle guance lucide e rotonde, da quella bocca piccola come piccolo era tutto il volto
.......Era incredibile......
I suoi occhi, gli occhi di quel piccolissimo bambino, erano incredibili......guardava tutto ciò che lo circondava con un'espressione ammirata, quasi attonita: era attirato da una ragazza che gli faceva le smorfie, dalle scarpe marroni di un signore e dall'orologio brillante di una vecchia signora!
Guardava tutto con quell'espressione attonita ma comunque seria! Poi, ad un tratto il piccolo volto si era illuminato con un sorriso quasi divino: guardava la madre e rideva! Ogni volta che alzava lo sguardo verso la madre, il suo volto si illuminava, splendeva di una luce accecante, quasi a volerla ringraziare di averlo messo al mondo e avergli donato la possibilità di ammirare la vita.....
Era una scena appagante. Mi sono sentito in pace....quasi sbalordito. Sensazione che ho provato a pieno solo dopo poco!
Il bambino, quasi sapendo dell'ammirazione che provavo per quella scena, aveva inziato a fissarmi con quegli occhi azzurri come il mare. Erano saggi! O mio dio quanto erano saggi quegli occhi da infante.
Era come se i suoi occhi, il suo cervello, il suo cuore volessero farmi capire qualcosa; qualcosa di cui io ero già a conoscenza, ma che la cattiveria del mondo mi stava facendo dimenticare.
La vita, quella vera, và guardata con gli occhi di un bambino per poterla capire, con gli occhi di un'animale per poterla vivere. Non c'è scienza o teorema che possa spiegare tutto questo! Oggi ho avuto un viaggio al centro della vita.......un viaggio che non facevo da molto!.......

Oggi sono contento!

venerdì 25 maggio 2012

L'eredità di un Boss pentito

Se state leggendo questa lettera, significa che sono morto e che prima della mia dipartita ho incaricato qualcuno di fiducia per distribuire questo messaggio a voi: gente onesta di Napoli.
Questo che ricevete è il mio lascito per voi, la mia eredità, ma soprattutto un modo per chiedervi scusa. Sono Francesco Barbato, ex boss della famiglia Barbato. Il mio nome per tanti anni, troppi, è stato associato a violenza e terrore, all’illegalità e all’odio: nulla di più giusto e corretto.
Tuttavia gli ultimi anni della mia vita sono stati caratterizzati da un forte senso di colpa, che mi ha indebolito l’anima e soprattutto il corpo. I miei sessant’anni da delinquente, perché è quello che sono stato e sono, mi hanno condotto solo a tradimenti, massacri, sacrifici, morti e dolori infiniti. Ho vissuto più anni in prigione che da uomo libero, sia essa una prigione fatta di sbarre che un bunker freddo e nascosto sotto vecchi palazzi di periferia. Se potessi tornare indietro non farei assolutamente nulla di ciò che ho fatto fino ad oggi e, se potessi, lotterei con tutte le forze quel sistema corrotto e bastardo di cui faccio parte. Certo non è tanto e ben che meno il danno, che ho procurato a voi e alla città, è quantificabile con così poco; ma il mio è un atto dovuto e doveroso, un gesto simbolico che faccia capire alla gente, alla brava gente di Napoli, che Don Francesco Barbato ha abbandonato definitivamente quel mondo, prima di morire.
Diffondete questa lettera ai vostri cari, ai vostri amici, ai vostri conoscenti, in modo che tutti sappiano, in modo che il mondo sappia. Perché è solo attraverso la consapevolezza che si può raggiungere il proprio fine.
Questa lettera è indirizzata a voi anche per questo scopo, istruirvi ad affrontare i giorni che verranno con una maggiore coscienza. Il sistema malavitoso che attanaglia Napoli, non è invincibile anzi…è tutt’altro che resistente. La malavita è come una catena, composta da numerosi anelli ed è proprio l’enorme numero di anelli a rappresentare il suo punto di forza, ma anche di debolezza. Se dovesse venire a mancare anche uno solo di quegli anelli, tutto il sistema crollerebbe. Organizzazione, efficienza, astuzia, rapidità, prevaricazione, paura e tanti altri sono i pilastri portanti della criminalità organizzata. L’anello più forte è proprio la paura, tutte le nostre azioni si basano sul concetto di paura. Grazie alla paura noi siamo forti, noi possiamo organizzarci, essere efficienti, rapidi. Grazie alla paura possiamo prevaricare ed usare l’astuzia. Il nostro punto debole, ironia della sorte, è proprio il più forte: LA PAURA. Se voi smetterete di avere paura, abbandonerete il panico della sofferenza e delle minacce, la nostra forza diminuirà di colpo, fino a scomparire: inizialmente cesseranno le prevaricazioni, poi la nostra efficienza diventerà lenta fino a farsi inefficace e l’organizzazione scomparirà del tutto.
Lo so bene: è difficile non avere paura di una pistola puntata alla tempia o di calci e pugni sferrati con forza, ma noi siamo pochi e voi una moltitudine. La proporzione è impari e anche se noi abbiamo i mezzi e le armi, voi avete la volontà e la forza d’animo per contrastarci.
L’unico modo per sconfiggere la malavita è che smettiate di avere paura e iniziate a combatterci, come già stanno facendo alcune persone, poche, troppo poche, per poter riuscire a ottenere risultati definitivi. La nostra presenza, la nostra esistenza provoca vittime e le vittime lasciano parenti che piangono la morte dei propri cari. Sono queste persone il nostro retaggio: vendicatori determinati a lottare e ad eliminare gli assassini dei loro amati. Affiancatevi a loro, sostenete le loro battaglie e non abbiate paura. Trasformatevi in un muro invalicabile e resistente, tanto da resistere a colpi di mitra e pistole.
Non chiedete aiuto all’esterno, perché uomini collusi e corrotti vi convinceranno di una vostra debolezza che in realtà non esiste. Trovate la forza dentro di voi, diamine siete Napoletani!!! Siete fatti di tufo, lava ed acqua! Siete, siamo, sopravvissuti a mali ben peggiori, a pericoli ben più difficili. Siete voi ad essere invincibili, non gli infingardi sistemi che vi opprimono.
Sempre dominati, ma mai succubi e schiavi, sempre oppressi ma mai in catene: Napoletani ritrovate la vostra forza e abbandonate la paura. Aprite i vostri cuori e troverete la strada da intraprendere. Chiudete gli occhi e camminate guardando con la vostra anima, solo così potrete giungere alla meta, diritti e incessanti, senza che nessuno possa fermarvi.
Abbandonate la corruzione e diffondete la vostra forza tra chi, meno fortunati di voi, hanno perso l’essenza della città, corroborati da anni, decenni, secoli di putrefazione, di malavita e mala esistenza. Voi siete la soluzione a tutti i vostri mali, voi siete la chiave che apre la porta del vostro futuro.
Ricordate: voi siete il nucleo del nostro anello più forte, ma senza il vostro terrore, noi smettiamo di esistere!
Addio.
In fede Francesco Barbato.



Questa lettera è una mia invenzione e quindi ogni riferimento a fatti, cose e persone è puramente casuale.

venerdì 4 maggio 2012

Il mio nome è Marko

Buonsalve a tutti! Come vi va la vita?! Spero bene...o almeno che teniate botta in questi giorni difficili (sapete la crisi, lo spread che sale, le jastemmie che crescono, i chitiebbivi che fioccano at volontade etc etc). Dovete sapere che io amo il calcio, ne sono coinvolto proprio dal profondo, ma in questi ultimi mesi stanno succedendo cose, tante, che mi stanno turbando parecchio: ultimo è l'aggressione fisica (diversi pugni) da parte di un allenatore (Delio Rossi) ad un suo giocatore che lo ha "offeso" (non so quanto gravemente). Non voglio entrare nel merito della questione, ho la mia idea ma la tengo per me...però volevo proporvi un testo che scrissi nell'ottobre del 2010, in seguito a degli scontri che avvennero a Genova, dopo la partita mai giocata tra le nazionali: Italia Vs Serbia. 
Ciancio alle bande o che dir si voglia, vi inserisco il testo qui sotto...si lo so è un po lungo però se avete la pazienza di leggerlo tutto, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensiate! Ciauz



"Il mio nome è Marko. Sono nato a Belgrado 27 anni fa e ho perso mia madre quando avevo 11 anni, saltata in aria su una mina anti uomo, e mio padre pochi mesi dopo, nella regione di Krajina, insieme ad altri mille serbi, trucidati senza alcuna ragione. A 12 anni avevo perso entrambi i genitori e ho rischiato più volte di morire di fame e freddo. Vivendo per strada si diventa uomini troppo presto e io fui costretto a lottare contro tutti per sopravvivere. Erano anni difficili quelli, il mio paese era continuamente in guerra contro i suoi vicini e questo non faceva che peggiorare la mia situazione. Un popolo in guerra è un popolo povero, non ci sono soldi, non c’è cibo, non c’è nulla che un bambino possa fare per tentare di sopravvivere. È stato inevitabile che la strada mi educasse a vivere di espedienti.
Ricordo ancora bene la prima cosa che ho rubato in vita mia: era una mela.  Non mangiavo da dieci giorni e lo stomaco oramai nemmeno brontolava più per i morsi della fame, non aveva più la forza di lamentarsi. Ero un cadavere ambulante, privo di forze, privo di speranze, quando vidi una mela, una grossa e rossissima mela. Quel frutto era scivolato via dalla busta di una signora ben vestita, che era inciampata e caduta rovinosamente per terra.  Mi bastò allungare la mano per fermare quella sfera rossa, che lentamente stava rotolando verso il selciato della strada. Ricordo che la nascosi velocemente sotto la maglietta strappata che indossavo da mesi. La signora mi guardò per qualche secondo, mentre freneticamente tentava di recuperare tutta la frutta che aveva perso dalla busta; non si era accorta di nulla. Dentro di me sapevo che la cosa giusta era restituirle la mela, ma fare la cosa giusta mi avrebbe fatto morire. Aspettai 3 lunghissimi e interminabili minuti, poi la signora scomparve dietro l’angolo e addentai quella mela. Quanto era buona non lo dimenticherò mai, la mela più buona che abbia mai mangiato in vita mia.
Da quel giorno compresi che per sopravvivere avrei dovuto rubare, iniziai con il cibo e continuai per qualche mese, poi cominciai con i soldi. Ero piccolo, non avevo ancora ben chiaro cosa fosse il denaro, ma compresi presto che, possedendo quei pezzi di carta, avrei potuto avere tutto ciò che desideravo: un paio di scarpe e, perché no, un giubbino che mi tenesse caldo durante l’inverno. Passarono gli anni, conobbi la prima cotta, poi il primo amore e infine la prima puttana che mi sverginò. Ero diventato un uomo a 12 anni, ma solo a 17 avevo capito che cosa poteva realmente darti una donna. Bevevo già da tre anni, soprattutto la mia adorata Brlja, la bevanda di noi poveri, l’unica cosa che realmente riesce a tenerti caldo, oltre alla vagina di una donna.
Il mio nome è Marko e sono un ultrà della Stella Rossa. Quando avevo 8 anni ero venuto in Italia, a Bari, per vedere la finale di Coppa dei Campioni vinta contro l'Olympique Marsiglia. Ricordo bene quel giorno, nonostante fossi ancora piccolo, provai una gioia immensa e da allora decisi che non avrei mai abbandonato quella squadra. Poi la mia vita cambiò radicalmente, i miei  morirono a pochi mesi di distanza da quel giorno e io mi ritrovai ad uccidere persone, per trovare soldi a sufficienza ed acquistare il biglietto per entrare allo stadio. Infondo una promessa è una promessa. Una delle poche cose che mi ha insegnato mio padre quando ero piccolo, è la fedeltà verso il proprio paese, verso la propria squadra, ma soprattutto ad onorare le promesse, a tutti i costi.
La situazione politica del mio paese sembrò calmarsi quando avevo circa 14 anni, ma la condizione non migliorò così tanto per me. Continuavo a mantenere il mio solito tenore di vita, l’unico possibile per un ragazzino senza padre, madre e alcuna figura di riferimento. In questi anni sono cresciuto molto, non rubo più alla gente, ora ho un lavoro fisso che mi permette di avere un tetto sulla testa e di spassarmela quanto voglio, ho tanti buoni amici con cui condivido l’amore per la Stella Rossa e un ottima clientela. Lo spaccio di droga frutta bene, basta trovare le giuste dimensioni e non dare fastidio alle persone sbagliate.
Nonostante questo periodo di pace però, un bel giorno, dei contadini senza soldi e senza alcuna gloria hanno deciso che una parte del mio paese non doveva essere più della mia gente. Un giorno si sono svegliati e hanno deciso “unilateralmente” che il mio territorio, quello del mio paese, quello dei miei antenati, non era più mio e hanno deciso di proclamare l’indipendenza, fottendo a me e ai miei fratelli serbi la terra.
In pochi anni sono riusciti a buttare merda sul mio paese, sul presidente del mio stato, chiamandolo addirittura “mostro” o “criminale”, semplicemente perché ha tentato in tutti i modi di riappropriarsi di una cosa nostra, che ci è stata indebitamente sottratta.
Odio profondamente quei contadini, li odio perché dal basso del loro viscidume sono riusciti a portare via la terra ai miei fratelli serbi, li hanno derubati e mandati via di casa senza una ragione. Quei contadini dovrebbero pensare solo a lavorare la terra e incularsi qualche capra, invece di arrogarsi qualche assurdo e inesistente diritto. Loro non hanno diritti, sono solo dei contadini.
Io rivoglio quelle terre, rivoglio il Kosovo e qualcosa farò, la farò insieme ai miei fratelli della Stella Rossa. La pensiamo tutti così, perché è giusto. Quella è la nostra terra, quella è la nostra patria. La Serbia ha bisogno dei suoi figli, l’hanno deturpata, ferita in diverse occasioni, ma la nostra patria, la nostra nazione tornerà a vivere in gloria grazie ai suoi figli, grazie a me.
Oggi dopo 19 anni sono di nuovo in Italia, in una città chiamata Genova. Sono al seguito della mia nazionale di calcio, al seguito di 11 donnicciole che stanno infangando il nome della mia nazione. La settimana scorsa hanno perso 3 a 1 in casa contro l’Estonia, una vergogna inaudita e oggi la devono pagare.
Noi siamo i figli di Arkan, le sue tigri, i sostenitori della Stella Rossa, gli ultimi discendenti della vera Serbia, noi la riporteremo in vita e inizieremo dalla nazionale. Stasera abbiamo dato spettacolo in campo, abbiamo fermato quello scempio di partita. I giocatori devono capire che il calcio non è un gioco, il calcio è vita vera. Se loro perdono, perde tutta la Serbia, l’onta della vergogna ricade su tutti noi, non solo sui loro nomi e per questo devono pagarla. Devono avere paura quando scendono in campo, devono capire che la vittoria è l’unico risultato che compete alla Serbia, alla mia gloriosa Serbia. Ho speso 21mila dinari in fumogeni e petardi, abbiamo tagliato la rete della gabbia e sfondato un vetro dello stadio, mentre tutto il mondo ci guardava esterrefatti: siamo riusciti nel nostro scopo.
Ora sono qui, fuori lo stadio, la notte copre i colori del giorno e davanti a me vedo un plotone di poliziotti, guardo nei loro occhi e non vedo altro che terrore. Hanno paura di noi, ci guardano da lontano e non potrebbero fare altro. Se tentano di avvicinarci diamo fuoco alla città! Io non ce l’ho con loro, loro non mi hanno fatto nulla, ma se mi attaccano io risponderò per le rime. È questo che fa un vero ultrà: non si piega davanti a nulla e io non mi piegherò.
Stringo tra le mani una bomba carta, sono pronto ad accenderla e a combattere… in nome della Serbia."

mercoledì 2 maggio 2012

Fluenti Chiome


Il roboante ruggito di un leone,
Riecheggiante, raggiunge lidi lontani.
Il vento soffia tra le sue dorate chiome
E sfidando la sua ira, smuove la sua criniera,
Combattendo con la forza del suo latrare,
come un cane furente, lui che di felina natura nacque.
Spavaldo e coraggioso, ancor soffia sul mondo,
portando a danza il nero crine d’un selvaggio destriero.
Spira il vento, ansima sulle terre e sui mari,
increspando i flutti oltre il bianco dell’urto,
corrodendo pietre e foglie, limando alte cime
e ammorbidendo scoscesi fianchi d’altura.
Sbuffa, arrivando fino a te e smuovendo i tuoi capelli
Che, morbidi, s’adagiano sulla tua pelle,
accarezzando l’anima di chi li osserva,
mentre, ondulati, piegano oltre le forze naturali
e sinuosamente discendono come aspidi egizie
sul morbido candor, che Cleo conobbe
prima che la nera falce fendesse la sua lama